Un nuovo studio multidisciplinare firmato da Giovanni Tonini e Cecilia Sandroni mette in luce come l’Artico del XXI secolo non sia più una periferia remota, ma il cuore pulsante delle sfide globali che intrecciano ambiente, geopolitica, innovazione e diritti delle popolazioni indigene.
Secondo la ricerca, il riscaldamento nell’area artica procede quattro volte più rapidamente rispetto alla media del pianeta. Una corsa che anticipa di almeno vent’anni la scomparsa totale del ghiaccio marino estivo: non più nel 2050, ma già entro il 2027. Un’accelerazione spinta anche dal fenomeno dell’“atlantificazione”, l’invasione di acque calde provenienti dall’Atlantico che sta alterando in modo irreversibile gli ecosistemi polari. Le conseguenze si abbattono non solo sulla fauna selvatica, ma anche sulle comunità umane che da millenni vivono in equilibrio con questi ambienti estremi.
Lo scioglimento dei ghiacci apre nuove prospettive commerciali. La Rotta del Mare del Nord, ad esempio, riduce di 4.000 miglia nautiche la distanza tra Asia ed Europa rispetto al passaggio attraverso Suez, con potenziali risparmi stimati in 91 miliardi di dollari annui per i trasporti marittimi. Non meno rilevanti le riserve di idrocarburi e terre rare, che attirano la competizione delle grandi potenze. La Russia mantiene la posizione dominante con la più potente flotta di rompighiaccio nucleari e 32 basi militari permanenti. Gli Stati Uniti hanno annunciato investimenti da 80 miliardi di dollari per rafforzare la loro presenza nei prossimi cinque anni, mentre la Cina si autodefinisce “quasi-Stato artico” e punta a combinare ricerca scientifica e accordi energetici.
Il conflitto in Ucraina ha fatto implodere il Consiglio Artico, per trent’anni arena privilegiata della cooperazione internazionale. Oltre 150 progetti di ricerca congiunta sono stati sospesi, proprio quando la comunità scientifica avrebbe bisogno di più dati e collaborazione per comprendere le trasformazioni in atto.
Nell’Artico vivono circa quattro milioni di persone appartenenti a comunità indigene. Per loro i cambiamenti climatici e le tensioni geopolitiche non sono concetti astratti, ma minacce quotidiane alla sopravvivenza culturale ed economica. Eppure, sottolinea lo studio, le loro conoscenze ecologiche tradizionali rappresentano un patrimonio strategico che la comunità internazionale dovrebbe valorizzare e integrare nei processi decisionali.
L’Artico non è solo terra di crisi, ma anche di innovazione. Gli scienziati stanno studiando proteine antigelo di organismi polari con potenziali applicazioni nei trapianti d’organo e sperimentano progetti di geoingegneria per il ricongelamento artificiale. Al tempo stesso, però, il disgelo del permafrost libera antichi patogeni e virus rimasti intrappolati per millenni, con incognite sanitarie ancora difficili da valutare.
Gli autori tracciano tre possibili futuri: cooperazione multilaterale con istituzioni rafforzate; competizione controllata con sfere di influenza regionali; frammentazione conflittuale, fino a possibili escalation militari.
In ogni caso, sottolineano Tonini e Sandroni, le decisioni che oggi si prendono sull’Artico influenzeranno direttamente il destino climatico e geopolitico del pianeta.
“L’Artico emerge come un laboratorio vivente dove i cambiamenti globali si manifestano in forma amplificata”, scrivono gli autori. Per questo chiedono un nuovo modello di governance che sappia conciliare sostenibilità ambientale, giustizia sociale e stabilità geopolitica. Solo una responsabilità condivisa potrà trasformare questa regione, da tempo marginale, in un banco di prova per il futuro dell’umanità.