C’è una nuova forma di turismo che non si affida più alla precisione di una mappa, né alla prevedibilità di un itinerario dettagliato. Si chiama auto-navigazione emozionale e arriva dalle Isole Faroe, uno degli arcipelaghi più remoti d’Europa, dove il paesaggio è già di per sé una narrazione.
Nel 2024, l’ente del turismo locale, Visit Faroe Islands, ha lanciato un’iniziativa sperimentale chiamata The Land of Maybe – A Guided Road Trip Without a Map. Si tratta di un sistema di esplorazione “guidata ma non programmata”, in cui i viaggiatori a bordo di un’auto noleggiata scoprono il proprio itinerario tappa dopo tappa, senza conoscere in anticipo la destinazione successiva. Nessun navigatore tradizionale, nessuna app con le solite “cose da vedere”: solo indicazioni vocali fornite da abitanti del posto che, attraverso micro‑racconti, leggende, aneddoti o semplici consigli, costruiscono un itinerario fatto di emozioni e sorprese.
L’auto rivela la prossima meta solo una volta completata quella precedente, trasformando l’esperienza del viaggio in un percorso progressivo di scoperta per entrare in relazione con il territorio, con chi lo abita e con le storie che lo animano. “È un turismo umano, sensoriale, che si fonda sulla fiducia”, ha dichiarato Guðrið Højgaard, direttrice dell’ente turistico delle Isole Faroe, in un’intervista rilasciata al Financial Times.
Questa proposta si inserisce perfettamente nella crescente domanda di esperienze autentiche e personalizzate, secondo i dati dell’OECD Tourism Trends 2024 infatti, oltre il 60% dei viaggiatori europei preferisce esperienze “locali e significative” rispetto a itinerari standardizzati. Il desiderio di rallentare, di vivere un contatto reale con i luoghi, sta progressivamente sostituendo il turismo frenetico, quello dei check-point fotografici e delle mete da “spuntare”.
Il modello delle Faroe non è solo suggestivo, ma replicabile, e in Italia, potrebbe trovare terreno fertile in territori come la Valnerina in Umbria, l’Ogliastra in Sardegna o l’Alto Molise, che sono perfetti candidati per ospitare progetti simili. In queste aree, il tessuto umano è ancora vivo, la comunità è coesa, e il paesaggio conserva una dimensione arcaica, lontana dai flussi turistici di massa. Qui, l’auto-navigazione rappresenterebbe anche un’opportunità concreta di valorizzazione del capitale narrativo e rilancio economico locale.
Naturalmente, la realizzazione di un progetto simile richiederebbe un dialogo attivo tra enti del turismo, operatori della mobilità sostenibile, narratori locali e piattaforme digitali capaci di gestire contenuti geolocalizzati in tempo reale. Ma non serve partire da zero, perché alcune tecnologie già esistenti, come Loquis o izi.TRAVEL, potrebbero essere adattate per modulare l’esperienza a misura di territorio.
Ciò che rende questo modello particolarmente interessante per le destinazioni italiane è la sua capacità di riattivare un turismo diffuso, in grado di raggiungere aree periferiche e meno conosciute senza bisogno di grandi infrastrutture. Il viaggio, in questo caso, valica i confini dello spostamento fisico per abbracciare un percorso relazionale in cui il visitatore diventa co-protagonista e non più semplice spettatore.
In un’epoca in cui tutto è geolocalizzato, previsto, ottimizzato da algoritmi, la possibilità di non sapere esattamente dove si andrà, e di affidarsi a una voce umana per scoprirlo, è quasi un atto rivoluzionario, ma anche, forse, una delle esperienze più preziose che il turismo possa offrire oggi perché “A volte, per ritrovare se stessi, serve perdersi… ma con stile”.